Ogni parlar chiaro
Ogni parlar chiaro, distoglie l’attenzione da ciò che è oscuro e che nel frattempo ci divora.
Ogni parlar chiaro, distoglie l’attenzione da ciò che è oscuro e che nel frattempo ci divora.
Se è o se non è, e se la lunga catena od il pulviscolo attraversa e discende nel fascio della luce come pollini, erbe, case, tabelle, sigarette.
Se classico o non classico si proponeva di ruotare intorno alla formula; la massima ampiezza della formula bucava la cattiveria cosmica. Chissà chi è e chissà perché. E perché sensazionalmente non toccava le luci tremolanti o le traballanti biciclette nella sera in bianco e nero. Piccola / intervallo intervallo / disperazione / a giorni si può sgattaiolare e fluire nel fiume; infatti lo stile s’interrompe: chi crede all’assoluta certezza dello stile, confidenziale civiltà, balordo avventuriero provincialotto, piuttosto bruttino e lagnoso (lagnoso e non lanoso) chi crede si sbaratta ed afferra le incroccate fette tostate di farina impastata ed attende: a furia di gironzolare è giunta anche questa cosa: questa cosa umorale e tagliente, fuggevole ed emozionante, cadente o …sosta prima; l’ansia ti scinde, ti spezza, ti procura… (patemi?).
Il percorso era cosparso di borchie di madreperla e di luci intermittenti.
“Non ho amore, non ho onore, non ho denari, attendo uno psichiatra su una porta di legno non verniciata, di legno multistrato.”
Così i cavolfiori o le betulle, genere di piante delle amentacee, si dissolvevano nella molle sostanza colorata cerebrale, perché i cavolfiori o gli unguenti e perché questa lunga distanza da ciò che era una più propizia abitazione, un luogo in cui abitare e soggiornare piacevolmente ed a lungo apprendere i delicati moti delle piante e dell’aria.
Luna contatto della sera, ossobuco incostante, sera, parabola del desiderio, luna rosa, paura d’alberi di luoghi d’aspettative. Eccola lì, la rosea, l’inutile, la vogliosa, l’incostante, la corposetta, la vendicativa, la desiderata, la polposa, ridente e sana, arcuata, umida, di terra e di sole, inebetita, piccola, nebulosa, chitarra-luna, pascolo, lineetta.
I microbi fanno rumore. S’incuneano dietro i mobili sopra le stelline di cristallo, sul comò, tra le ali di vetro del lampadario. Se anche la filosofia, sovrana luce, avesse optato per quella linea, ai fiori ossessivi pomeridiani e nell’odore del fieno, nelle fruste oasi, implorando e compresse tra visione delle finestre, geometriche figure della mente, ed il pensiero dell’ostacolo intorno a cui giravo e di cui disconoscevo la forma, non un poligono e né un cerchio, essenza base della sua forma essendo la riflessione ed in quello specchio logico osservare magnificenze, premesse ed assenze: punto primo essendo la visione del corpo ed attraverso di esso la visione, solo scopo dei coriandoli e delle forme, io essendo nell’orizzonte di un altro, dovessi pensare il testo, poggerei rotocalchi sulla balaustra, attendendo astronavi; ed il tocco dell’avviso mi giunge appena mi alzo sobrio e sovrano, motorizzato.
Albinavano le sazie attese, si scusavano e masticando gomma e pan soffice osservavano il sole all’orizzonte del campo di terra. Simulata da una luce rotonda avanzavano oggetti oblunghi simili a lunghi vermi.
Le affrettate incurie nella cucina, sulle stoviglie di alluminio affumicate, guardavano con occhio illanguidito la piega bluastra ed iridescente del percorso; ove s’oscurava, ritte e scoscese le gobbe di terra spezzavano il percorso: all’interno albinavano le sazie attese con i corpi illanguiditi e curvi: la figlia dal cuore tenero e dall’anca giovane, seni coperti e vita tesa, un tremolìo dal ginocchio in su, senza dubbio tenera la via ed il basilico del prato, ove di politico sfrecciando l’umore si abbassava e toccando la punta del prato produce negli occhi di lei e delle altre sentori e sapori: oh sconvolgere l’assetto ed acquistare nell’attesa quell’aria che tu stesso possedevi o che altri, ed a bocconi, un po’ pieni di paura ed un po’ sobri, rosicchiando erbetta ed avverbi, ed ascoltando ed oscurando, ove sulle cosce le scritte si spegnevano e s’accendevano, come d’inverno le tue labbra sobrie e carnose, come nell’avvenire i tuoi possibili incontri, come negli incontri i tuoi possibili sguardi, come negli sguardi le tue lontane attese e quell’improvviso trattenere il respiro, e la caduta nella tenera terra del luogo, nascondersi, dici cose leggere, ed altro ed altro ancora, se sempre cogli dei miei sensi l’origine, cinta da carni e fiori, cinta nell’immobilità di quella occlusione intellettiva, ché tenera era la notte e periglioso il cammino, di cioccolata, d’amara erba o d’improvvisi saperi: soffusa soffusa e spenta, soffusa soffusa e tenera, soffusa soffusa s’adopera e s’ingegna di pervenire al politico slargo ove sole e sorrisi e vociare frequente spezza l’attesa.
Chi? Suono eremita che sempre a ruota circonda e la veste vibra scossa, rotando il luogo s’abbruna a festa, luci, coriandoli, pali erti, stuoie, salvadanai.
Si costituisce in essenza: o goffa cagliostra, tenue t’insegue l’erba, la lumaca o più perversamente e con trasparenza l’ormai. Non sai nominare che sventure o d’altronde ceci fagioli canne pietre formiche: a seconda delle circostanze ti aggiri: piccola e tenera e desiderosa, s’abbruna e la mano calda sosta sulla via dell’Acqua appena appena accennata, con scarsa decisione, tra distributori di benzina, reticolati e polvere!
La sera si sfila la sottana e nel racconto appare come un bestione, una capra, cannule le voci ed aereo l’ondeggiare, spicca sull’ano la tenera linea a taglio, sporge il corpo ed il desiderio, s’estingue come autostrada distesa e sinuosa.
Chi pensa che invece del fascino sia importante l’attualità, non ha orizzonti.
La passione non è la vita, ma un cunicolo buio dove individui mascherati ti rubano il portafoglio, pensando che tu lo abbia con te.
L’oggetto non persiste, è musicale, mellifluo, caduco; esso spara immagini di sé alla velocità di circa alcuni miliardi di miliardi al secondo e gli oggetti sono numerosi, ed i personaggi sono alcune decine; misurando e trascrivendo le connessioni tra gli oggetti si genera un suono non riproducibile ma imitabile.
Esso segnala la sua presenza sia come assoluta trasparenza, quella persistente fissità delle cose, sia il suo movimento confidenziale tradotto ed amplificato dall’albume intellettivo dell’uomo bipede, come star o come inetto del villaggio o come ridondanza dell’inutilità dell’essere, del suo avvilimento, del suo amor proprio, della sua malattia, della sua potenza psichica, il rosso degli occhi nella notte, il formicolìo la stasi e l’estasi, il perimetro del girovagare all’interno di conchiglie ovattate, di barattoli, di pensieri spremuti, condensati ed evaporati, una poliglotta nenia.
Per alcuni anni ho amato un demone in forma di donna. L’aspetto tranquillo, discreto, l’occhio appena appena lucido e velatamente malizioso, il corpo sodo dritto, ed i seni morbidi non eccessivamente dritti, per anni mi sono sentito spiato dalla sua presenza costante; ovunque andassi, desiderosa della mia passione ed avida e sorpresa di continuare a carpire i miei pensieri e la trama dei miei comportamenti, eccitata dalla mia stessa esistenza, avvertivo la sua presenza a volte discreta a volte pesantemente condizionante.
Vittima dell’illusione di crederla un umano, illusione che con raccapriccio turbava la mia tranquilla naturalezza, trascorrevo il tempo scandito da questo respiro incerto e variabile in sintonia con quel suo mondo privo di relazioni; la sua unica relazione con l’esterno ero io!
Apparentemente i suoi pensieri ed i suoi comportamenti erano come i miei! Dormiva, si nutriva e dialogava con gli umani anche vivacemente!
Per me era come una sorta di melodia, come l’Andante della Sinfonia Concertante di Mozart K364, uscita da quell’atmosfera falsamente letteraria, struggente ed avvincente, in cui il tempo s’eclissava poco a poco con effetto dissolvenza ed in cui un notevole spreco d’energia era concesso allo spargimento delle emozioni sulle lampade sul prato sui mobili sul pavimento in cui il pensiero pareva indebolirsi ed essiccarsi, non era niente di preciso, né la sagacia di sparire o la perdita né la decadenza, ma era tuttavia un pensiero, forse la dannazione od il paradiso, o la retorica, ma niente di falsamente vitale, in quell’atmosfera in cui pensavo dovesse necessariamente essere eppure non era, con una riflessione che mi procurava una infantile sicurezza e tuttavia difficile da smentire, perché ero lì di fronte a quel respiro materiale, musica indubbiamente od essenza sbagliata del mio incorreggibile orgoglio, orgoglio, suvvia! chi a ragion veduta oserebbe parlare di orgoglio, era un naturale piacere o dispiacere, una vitale speranza, neanche sciocca, che certo avrebbe messo a dura prova il dispensatore di verità costringendolo ad acconsentire per senso di colpa! tuttavia poteva essere inutile ed illusorio quel che con tanta intensità percepivo ed ero in grado di descrivere e che mi procurava tanta energia! o prime luci della sera! se deve essere la disintegrazione che lo sia! interessi e stimoli assiepati intorno ad un unico interesse, tutto distrutto, nient’altro che il sintomo di un materiale respiro, e quella meccanica flessuosità delle idee, era come scavare e scavare ossessivamente e vedere sparire progressivamente l’orizzonte e rifiutarsi pian piano di gonfiare ossessivamente gli avvenimenti ed i racconti e prestare attenzione a quell’unico stimolo, una sorta di melodia, come l’Andante della Sinfonia concertante di Mozart K364, l’attacco, quel punto in cui dalla pausa emergono suoni e sembra che vogliano riscrivere la tua storia fino a quel momento, cancellando tutti gli avvenimenti indecisi, violenti, irritanti, una sorta di melodia, e tu chiuso lì dentro una scatola di materia, oh sì! una scatola di materia senza poter protestare, ed allora ti aggrappi a quell’immagine e la rincorri e la idolatri, ed essa ti compare e ti perseguita nel sonno e nel dormiveglia, spavalda e sorridente anche se non necessariamente vittoriosa, dentro quella scatola ossessiva di materia aggrappato a quella roteante sfera che niente all’esterno avrebbe lasciato presagire! l’incontenibile malizia dell’essere! per giorni e giorni roteando intorno ad una figura umana, assoli di violino turbati soltanto dalla verticalità di un vento lieve tra foglia e foglia!
Ogni filosofo si affatica a dimostrare le proprie teorie perché pensa che qualcuno possa dargli torto.
Ogni evento trascende se stesso, ma solo in se stesso.