Chi pensa che invece
Chi pensa che invece del fascino sia importante l’attualità, non ha orizzonti.
Chi pensa che invece del fascino sia importante l’attualità, non ha orizzonti.
Ogni filosofo si affatica a dimostrare le proprie teorie perché pensa che qualcuno possa dargli torto.
Girovagando per le stanze senza senso, senza senso il girovagare e senza senso le stanze, cercando il coro, l’inutile canto, zona d’ascolto e zona di circospetta esasperazione, deriso ma sovrano nella sua decisione, derelitto, un po’ assetato, gioviale e nervoso, guardando la cornice della finestra, il rettangolino utile per scrutare il cielo le rondini le foglie le api la polvere roteante tra le foglie le pietre ed i fili tesi in alto, sonora bugiarda aspettativa, rosea sbugiardata e pensosa e sospirosa attesa, l’amore l’incanto o l’osseo divenire, il corroso e corrotto elemosinare, elemosinare ancora, elemosinare, ed il canto del pozzo, e l’incanto del pozzo ed il pozzo fuligginosa immagine specchiantesi nel pozzo, appena come sdraiati accanto alle riquadrature di pura pietra, un po’ insensibili, appesantiti da quell’ora di pomeriggio, pensando ancora che l’amore potesse essere l’amore, dovendo uscire dal racconto, non potendo raccontare per te altro che te, la tua presenza a volte amata a volte pensosa ed ossessiva, pensando ossessivamente alla tua presenza gioiosa, cercando la gioiosità della tua presenza negli anfratti del ricordo di un passato recente, distruggendo e facendo distruggere il racconto, appena circonfusi d’un alone lieve di tragicità, ed il senso e l’assenso girovaganti perspicaci ridotte a luci psichedeliche roteanti nel vortice delle intermittenze, dense e corrotte, oscura necessità, necessità, via via morendo per le piogge primaverili, via via morendo per l’assenza di consenso e vogliosa d’incanto perderti nella memoriale fanciullezza, non tracciando sentieri, non costruendo, non assecondando quella sana energia, energia inutile, di perdere la parola, di perdere te, di perdere, di sparire in una notte priva di voci, priva d’ingiustizie, priva di aggressioni, semplicemente una notte, non più civiltà, non più il sacro imbecille dotto, non più il saputo perdente vanagloria fatta cenere, tragedia sviluppantesi da sola negli angoli sotto i mobili, ch’era del sublime agenzia, dell’arido rappresentante, e del sommerso venditore al dettaglio, ricordo inerte del tuo inutile girovagare, girovagare attorto nel senso del voluto, voluto, rampante allegria dei tuoi occhi, brivido del tuo corpo perduto negli intrichi della tua mente libera, libera la mente, libera l’ansia ma anche assente l’imbrunire!
Il comunismo è la realtà che diventa regola, il fascismo è la regola che diventa realtà, il capitalismo è una forma di anarchia a pagamento.
Non oro a spinta, prosa, sapere enciclopedico, natura-prosa, natura-tecnica, natura-orgasmo, come se l’indifferenza dell’erba potesse assolvere da emozioni assenti, da pianificazioni, da incoercibili vigliaccherie, dalla civiltà-valore alla civiltà-ressa, Alpi automobili rospi spelacchiati vergini di scarso pregio ruffiani incuranti assoggettati ad inutili rituali da caproni disabili oscure avvisaglie di un evento pian piano evocato che diviene geometria logica matematica ed oscuramente assoggettati all’indifferente mistura di minestre ansia e sapere dovunque si annidasse lui il figlio dell’albero dell’universo 2 o come altro si chiama controllo emozione sedimentazione alcova luce dipinta od oscura metamorfosi di eccessive ossequiose soste eccessive sedimentazioni eccessive voglie inutili dovunque spese.
La brillantata fantasia ripercorreva tracce come cortecce d’albero, sapori di spumante, colorazioni sul fondo cielo- alluminio, la ragazza seduta alla sedia, i pioli color noce, l’odore dei biscotti, il suono della fisarmonica, il concetto di quel filosofo mio antenato sempre attento a spianare il pensiero e ad aggirare veri e propri blocchi di materia pura, panieri di sentimenti di possessi e di aspirazioni, pur sapendo di non poter distribuire le cose come volantini, pur sapendo ciò ch’ignorano i veri imbecilli (che la cosa è un’altra) che proiettano nella Storia come acchiappafarfalle, ecco il fenomeno, inquadralo inquadralo, “inquadra ‘sta minchia” disse Jo il figlio pesciaiuolo del filosofo, si sa che tutti i figli dei filosofi diventano pesciaiuoli, prima o poi, un localino maiolicato, due banconi un frigorifero uno scacciamosche e tutto quell’odore di pesce fresco e di ghiaccio, e se ne stava lì tutto il giorno, ossequioso ed un po’ captato dal ritmo della radio, monotono, il colpo della batteria un po’ sordo per la piccolezza dell’altoparlante, appena 7 cm.
Pullula ed ossessa memoria ripercorre con maschile giogionesco sapere, come se fosse la forma del corpo con gambe affusolate a spartire l’universo, forma diversa o simile, momento pomeridiano al cimitero, tomba alcova tessile, mobile e flessuosa, semi-pane ad occhi-frutta, tenero ingresso sui lastroni/marmo-violaceo, sporchi d’erba e terra, ascoltando grilli qua e là, tenera s’apre ed ascolto, meridiano x e parallelo y, dove gioia sottrae energia, dove energia sottrae materia, dove materia s’intimidisce in malattia e s’estingue e lì cadaverica serina perniciosetta fessura oscura implode in occlusione storico-extra, chi era e che sei, cosciona lunga, malinconia, anno tempo fisso, pere sull’albero all’orizzonte piccolo, ti stringi al ventre (cattivo un assolato corpo) che eccoti ossuta cadaverina sul lastrone violaceo, occhi-frutta e semi-pagnottine, che gioisci e d’estremo faraglione fai inguine bosco campo arato, a sera l’atmosfera nelle foto in bianco e nero s’appesantivano filtrate dal vetro colorato, movimento dei fiori e delle lampade votive, disordine di fiori secchi a terra e su occhi tuoi sapori d’altro, che non erano vicende o storie, e s’essiccavano nel richiamo poliedrico, dal parallelo y al meridiano x a nuovo Atlante (distinto per gradi e gerarchie). A sera t’attendo, violino lento su aria sacra, percorre nota su nota e ritorna, percorre nota tenera e nota forte, s’interrompe, langue, scolora, si accalora nei movimenti, sfreccia la moto ai lati sul costone della via, sfreccia nuvola e sole, cala il buio, tenero priapo convoca muri di cinta, croci, portoncini di cappellette, via via al compito chiamati, raduno di stelle e di punti, raduno di sentite cose, raduno d’essenze, aride perlinate ed umidicce di sapori profumati, mai come allora domi, come allora tesi, come allora d’imeneo tratti sui costoni della via sulle sue pelose insenature, tratte a vista e perniciosamente in movimenti bruschi denotanti assiomi, desideri, e residui sulle pareti come gallerie muschiose mentre suona la campana del cimitero e nicchia il suo pensiero e s’apre l’ansia all’umida delimitata giallo-corallina essenza di lui che scorre, pioggia di prima sera mentre i significati scattano come gettoniere segnalando movimenti A/B cavo/pieno passivo/attivo senso/controsenso delimitazione/errore etc…., appunto l’inutile vogliosa spiritosa incurante appetitosa sexy/curiosa, a chiedersi ancora perché, lì dinanzi ad una finestra accielata, blu-cielo oltre il vetro, sistematicamente essenziale, capelli, camicie, colori, sabbia…
Dio, la prima volta che fu contestato, elaborò il principio di autorità.
Per alcuni anni ho amato un demone in forma di donna. L’aspetto tranquillo, discreto, l’occhio appena appena lucido e velatamente malizioso, il corpo sodo dritto, ed i seni morbidi non eccessivamente dritti, per anni mi sono sentito spiato dalla sua presenza costante; ovunque andassi, desiderosa della mia passione ed avida e sorpresa di continuare a carpire i miei pensieri e la trama dei miei comportamenti, eccitata dalla mia stessa esistenza, avvertivo la sua presenza a volte discreta a volte pesantemente condizionante.
Vittima dell’illusione di crederla un umano, illusione che con raccapriccio turbava la mia tranquilla naturalezza, trascorrevo il tempo scandito da questo respiro incerto e variabile in sintonia con quel suo mondo privo di relazioni; la sua unica relazione con l’esterno ero io!
Apparentemente i suoi pensieri ed i suoi comportamenti erano come i miei! Dormiva, si nutriva e dialogava con gli umani anche vivacemente!
Per me era come una sorta di melodia, come l’Andante della Sinfonia Concertante di Mozart K364, uscita da quell’atmosfera falsamente letteraria, struggente ed avvincente, in cui il tempo s’eclissava poco a poco con effetto dissolvenza ed in cui un notevole spreco d’energia era concesso allo spargimento delle emozioni sulle lampade sul prato sui mobili sul pavimento in cui il pensiero pareva indebolirsi ed essiccarsi, non era niente di preciso, né la sagacia di sparire o la perdita né la decadenza, ma era tuttavia un pensiero, forse la dannazione od il paradiso, o la retorica, ma niente di falsamente vitale, in quell’atmosfera in cui pensavo dovesse necessariamente essere eppure non era, con una riflessione che mi procurava una infantile sicurezza e tuttavia difficile da smentire, perché ero lì di fronte a quel respiro materiale, musica indubbiamente od essenza sbagliata del mio incorreggibile orgoglio, orgoglio, suvvia! chi a ragion veduta oserebbe parlare di orgoglio, era un naturale piacere o dispiacere, una vitale speranza, neanche sciocca, che certo avrebbe messo a dura prova il dispensatore di verità costringendolo ad acconsentire per senso di colpa! tuttavia poteva essere inutile ed illusorio quel che con tanta intensità percepivo ed ero in grado di descrivere e che mi procurava tanta energia! o prime luci della sera! se deve essere la disintegrazione che lo sia! interessi e stimoli assiepati intorno ad un unico interesse, tutto distrutto, nient’altro che il sintomo di un materiale respiro, e quella meccanica flessuosità delle idee, era come scavare e scavare ossessivamente e vedere sparire progressivamente l’orizzonte e rifiutarsi pian piano di gonfiare ossessivamente gli avvenimenti ed i racconti e prestare attenzione a quell’unico stimolo, una sorta di melodia, come l’Andante della Sinfonia concertante di Mozart K364, l’attacco, quel punto in cui dalla pausa emergono suoni e sembra che vogliano riscrivere la tua storia fino a quel momento, cancellando tutti gli avvenimenti indecisi, violenti, irritanti, una sorta di melodia, e tu chiuso lì dentro una scatola di materia, oh sì! una scatola di materia senza poter protestare, ed allora ti aggrappi a quell’immagine e la rincorri e la idolatri, ed essa ti compare e ti perseguita nel sonno e nel dormiveglia, spavalda e sorridente anche se non necessariamente vittoriosa, dentro quella scatola ossessiva di materia aggrappato a quella roteante sfera che niente all’esterno avrebbe lasciato presagire! l’incontenibile malizia dell’essere! per giorni e giorni roteando intorno ad una figura umana, assoli di violino turbati soltanto dalla verticalità di un vento lieve tra foglia e foglia!
I trucchi servono per supplire all’abilità.
I microbi fanno rumore. S’incuneano dietro i mobili sopra le stelline di cristallo, sul comò, tra le ali di vetro del lampadario. Se anche la filosofia, sovrana luce, avesse optato per quella linea, ai fiori ossessivi pomeridiani e nell’odore del fieno, nelle fruste oasi, implorando e compresse tra visione delle finestre, geometriche figure della mente, ed il pensiero dell’ostacolo intorno a cui giravo e di cui disconoscevo la forma, non un poligono e né un cerchio, essenza base della sua forma essendo la riflessione ed in quello specchio logico osservare magnificenze, premesse ed assenze: punto primo essendo la visione del corpo ed attraverso di esso la visione, solo scopo dei coriandoli e delle forme, io essendo nell’orizzonte di un altro, dovessi pensare il testo, poggerei rotocalchi sulla balaustra, attendendo astronavi; ed il tocco dell’avviso mi giunge appena mi alzo sobrio e sovrano, motorizzato.
Albinavano le sazie attese, si scusavano e masticando gomma e pan soffice osservavano il sole all’orizzonte del campo di terra. Simulata da una luce rotonda avanzavano oggetti oblunghi simili a lunghi vermi.
Le affrettate incurie nella cucina, sulle stoviglie di alluminio affumicate, guardavano con occhio illanguidito la piega bluastra ed iridescente del percorso; ove s’oscurava, ritte e scoscese le gobbe di terra spezzavano il percorso: all’interno albinavano le sazie attese con i corpi illanguiditi e curvi: la figlia dal cuore tenero e dall’anca giovane, seni coperti e vita tesa, un tremolìo dal ginocchio in su, senza dubbio tenera la via ed il basilico del prato, ove di politico sfrecciando l’umore si abbassava e toccando la punta del prato produce negli occhi di lei e delle altre sentori e sapori: oh sconvolgere l’assetto ed acquistare nell’attesa quell’aria che tu stesso possedevi o che altri, ed a bocconi, un po’ pieni di paura ed un po’ sobri, rosicchiando erbetta ed avverbi, ed ascoltando ed oscurando, ove sulle cosce le scritte si spegnevano e s’accendevano, come d’inverno le tue labbra sobrie e carnose, come nell’avvenire i tuoi possibili incontri, come negli incontri i tuoi possibili sguardi, come negli sguardi le tue lontane attese e quell’improvviso trattenere il respiro, e la caduta nella tenera terra del luogo, nascondersi, dici cose leggere, ed altro ed altro ancora, se sempre cogli dei miei sensi l’origine, cinta da carni e fiori, cinta nell’immobilità di quella occlusione intellettiva, ché tenera era la notte e periglioso il cammino, di cioccolata, d’amara erba o d’improvvisi saperi: soffusa soffusa e spenta, soffusa soffusa e tenera, soffusa soffusa s’adopera e s’ingegna di pervenire al politico slargo ove sole e sorrisi e vociare frequente spezza l’attesa.
Chi? Suono eremita che sempre a ruota circonda e la veste vibra scossa, rotando il luogo s’abbruna a festa, luci, coriandoli, pali erti, stuoie, salvadanai.
Si costituisce in essenza: o goffa cagliostra, tenue t’insegue l’erba, la lumaca o più perversamente e con trasparenza l’ormai. Non sai nominare che sventure o d’altronde ceci fagioli canne pietre formiche: a seconda delle circostanze ti aggiri: piccola e tenera e desiderosa, s’abbruna e la mano calda sosta sulla via dell’Acqua appena appena accennata, con scarsa decisione, tra distributori di benzina, reticolati e polvere!
La sera si sfila la sottana e nel racconto appare come un bestione, una capra, cannule le voci ed aereo l’ondeggiare, spicca sull’ano la tenera linea a taglio, sporge il corpo ed il desiderio, s’estingue come autostrada distesa e sinuosa.