La passione non è la vita
La passione non è la vita, ma un cunicolo buio dove individui mascherati ti rubano il portafoglio, pensando che tu lo abbia con te.
La passione non è la vita, ma un cunicolo buio dove individui mascherati ti rubano il portafoglio, pensando che tu lo abbia con te.
I microbi fanno rumore. S’incuneano dietro i mobili sopra le stelline di cristallo, sul comò, tra le ali di vetro del lampadario. Se anche la filosofia, sovrana luce, avesse optato per quella linea, ai fiori ossessivi pomeridiani e nell’odore del fieno, nelle fruste oasi, implorando e compresse tra visione delle finestre, geometriche figure della mente, ed il pensiero dell’ostacolo intorno a cui giravo e di cui disconoscevo la forma, non un poligono e né un cerchio, essenza base della sua forma essendo la riflessione ed in quello specchio logico osservare magnificenze, premesse ed assenze: punto primo essendo la visione del corpo ed attraverso di esso la visione, solo scopo dei coriandoli e delle forme, io essendo nell’orizzonte di un altro, dovessi pensare il testo, poggerei rotocalchi sulla balaustra, attendendo astronavi; ed il tocco dell’avviso mi giunge appena mi alzo sobrio e sovrano, motorizzato.
Albinavano le sazie attese, si scusavano e masticando gomma e pan soffice osservavano il sole all’orizzonte del campo di terra. Simulata da una luce rotonda avanzavano oggetti oblunghi simili a lunghi vermi.
Le affrettate incurie nella cucina, sulle stoviglie di alluminio affumicate, guardavano con occhio illanguidito la piega bluastra ed iridescente del percorso; ove s’oscurava, ritte e scoscese le gobbe di terra spezzavano il percorso: all’interno albinavano le sazie attese con i corpi illanguiditi e curvi: la figlia dal cuore tenero e dall’anca giovane, seni coperti e vita tesa, un tremolìo dal ginocchio in su, senza dubbio tenera la via ed il basilico del prato, ove di politico sfrecciando l’umore si abbassava e toccando la punta del prato produce negli occhi di lei e delle altre sentori e sapori: oh sconvolgere l’assetto ed acquistare nell’attesa quell’aria che tu stesso possedevi o che altri, ed a bocconi, un po’ pieni di paura ed un po’ sobri, rosicchiando erbetta ed avverbi, ed ascoltando ed oscurando, ove sulle cosce le scritte si spegnevano e s’accendevano, come d’inverno le tue labbra sobrie e carnose, come nell’avvenire i tuoi possibili incontri, come negli incontri i tuoi possibili sguardi, come negli sguardi le tue lontane attese e quell’improvviso trattenere il respiro, e la caduta nella tenera terra del luogo, nascondersi, dici cose leggere, ed altro ed altro ancora, se sempre cogli dei miei sensi l’origine, cinta da carni e fiori, cinta nell’immobilità di quella occlusione intellettiva, ché tenera era la notte e periglioso il cammino, di cioccolata, d’amara erba o d’improvvisi saperi: soffusa soffusa e spenta, soffusa soffusa e tenera, soffusa soffusa s’adopera e s’ingegna di pervenire al politico slargo ove sole e sorrisi e vociare frequente spezza l’attesa.
Chi? Suono eremita che sempre a ruota circonda e la veste vibra scossa, rotando il luogo s’abbruna a festa, luci, coriandoli, pali erti, stuoie, salvadanai.
Si costituisce in essenza: o goffa cagliostra, tenue t’insegue l’erba, la lumaca o più perversamente e con trasparenza l’ormai. Non sai nominare che sventure o d’altronde ceci fagioli canne pietre formiche: a seconda delle circostanze ti aggiri: piccola e tenera e desiderosa, s’abbruna e la mano calda sosta sulla via dell’Acqua appena appena accennata, con scarsa decisione, tra distributori di benzina, reticolati e polvere!
La sera si sfila la sottana e nel racconto appare come un bestione, una capra, cannule le voci ed aereo l’ondeggiare, spicca sull’ano la tenera linea a taglio, sporge il corpo ed il desiderio, s’estingue come autostrada distesa e sinuosa.
Ogni parlar chiaro, distoglie l’attenzione da ciò che è oscuro e che nel frattempo ci divora.
Ogni evento trascende se stesso, ma solo in se stesso.
S’insinua nel dubbio quotidiano, con il sole pietra solare inscatolata lì nel carta da zucchero volteggiare montagnoso, come se dovendosi attendere, fosse definitivo, e s’insinuava appena.
Svettavan gli alberi e la via silvestre nell’altopiano.
Ad occhi piccoli ed a chi volendo. Attendeva in questo pomeriggio pigro, liquefatto ai confini della pianura nel primo pomeriggio, s’ergeva ai lati dell’industrializzata valle (nota del redattore). Occhi freddi, alto, sui quarant’anni. A lei apparve assecondato dalla ristrettezza del viale, per vicoletti e costoni tra una tomba e l’altra.
Ferma sulla soglia attendeva la donna. Se ansia oscura il senso a lei non oscurava attesa che più era estesa, con il vestito scuro, speranzosa ed umile, in piedi sulla scaletta scende verso casa.
Densa la fantasia nella calura – incapace di sacrificare le ambizioni alla fantasia, come uno scrittore ebete, oppure incapace di sacrificare la fantasia all’ambizione, petroso ed eccessivamente terreno, su viali alberati nei pomeriggi afosi, che consumava la densa stilla mista di ciò che impastava le cose della sua irriducibile presenza, costante ossessione al suono delle cicale pomeridiane, dall’irriducibile sapore, qualcosa ch’era malinconia e malia insieme ed accorata attesa della liberazione, per valli e per campi rifratta – proiettava ragione macerata nei suoi confini, una granita di pensiero pronta a liquefarsi alla presenza di una momentanea ed ossessiva eternazione.
Desiderio, stella-diamante, raptus, inseguimento, sui costoni assolati e per liquefatte manie, stinte, stantie, ed il camion si rovesciò sul campo di peri, le ruote giravano all’aria, seni stinti o comportamenti, ed è qui che l’attendo, odorosa d’un pizzico di non altro sui rosoni, ch’irrompe a sera, che dispera, che humus, tritato ed ossequioso, pedestre, riservato, minuzioso!
Luna contatto della sera, ossobuco incostante, sera, parabola del desiderio, luna rosa, paura d’alberi di luoghi d’aspettative. Eccola lì, la rosea, l’inutile, la vogliosa, l’incostante, la corposetta, la vendicativa, la desiderata, la polposa, ridente e sana, arcuata, umida, di terra e di sole, inebetita, piccola, nebulosa, chitarra-luna, pascolo, lineetta.
Ogni filosofo si affatica a dimostrare le proprie teorie perché pensa che qualcuno possa dargli torto.
Chi pensa che invece del fascino sia importante l’attualità, non ha orizzonti.
Il comunismo è la realtà che diventa regola, il fascismo è la regola che diventa realtà, il capitalismo è una forma di anarchia a pagamento.
Pullula ed ossessa memoria ripercorre con maschile giogionesco sapere, come se fosse la forma del corpo con gambe affusolate a spartire l’universo, forma diversa o simile, momento pomeridiano al cimitero, tomba alcova tessile, mobile e flessuosa, semi-pane ad occhi-frutta, tenero ingresso sui lastroni/marmo-violaceo, sporchi d’erba e terra, ascoltando grilli qua e là, tenera s’apre ed ascolto, meridiano x e parallelo y, dove gioia sottrae energia, dove energia sottrae materia, dove materia s’intimidisce in malattia e s’estingue e lì cadaverica serina perniciosetta fessura oscura implode in occlusione storico-extra, chi era e che sei, cosciona lunga, malinconia, anno tempo fisso, pere sull’albero all’orizzonte piccolo, ti stringi al ventre (cattivo un assolato corpo) che eccoti ossuta cadaverina sul lastrone violaceo, occhi-frutta e semi-pagnottine, che gioisci e d’estremo faraglione fai inguine bosco campo arato, a sera l’atmosfera nelle foto in bianco e nero s’appesantivano filtrate dal vetro colorato, movimento dei fiori e delle lampade votive, disordine di fiori secchi a terra e su occhi tuoi sapori d’altro, che non erano vicende o storie, e s’essiccavano nel richiamo poliedrico, dal parallelo y al meridiano x a nuovo Atlante (distinto per gradi e gerarchie). A sera t’attendo, violino lento su aria sacra, percorre nota su nota e ritorna, percorre nota tenera e nota forte, s’interrompe, langue, scolora, si accalora nei movimenti, sfreccia la moto ai lati sul costone della via, sfreccia nuvola e sole, cala il buio, tenero priapo convoca muri di cinta, croci, portoncini di cappellette, via via al compito chiamati, raduno di stelle e di punti, raduno di sentite cose, raduno d’essenze, aride perlinate ed umidicce di sapori profumati, mai come allora domi, come allora tesi, come allora d’imeneo tratti sui costoni della via sulle sue pelose insenature, tratte a vista e perniciosamente in movimenti bruschi denotanti assiomi, desideri, e residui sulle pareti come gallerie muschiose mentre suona la campana del cimitero e nicchia il suo pensiero e s’apre l’ansia all’umida delimitata giallo-corallina essenza di lui che scorre, pioggia di prima sera mentre i significati scattano come gettoniere segnalando movimenti A/B cavo/pieno passivo/attivo senso/controsenso delimitazione/errore etc…., appunto l’inutile vogliosa spiritosa incurante appetitosa sexy/curiosa, a chiedersi ancora perché, lì dinanzi ad una finestra accielata, blu-cielo oltre il vetro, sistematicamente essenziale, capelli, camicie, colori, sabbia…