CAPITOLO XIV
Assolutamente coinvolgente quel cumulo chiamato materia, melmoso e definito, con definite forme che apparivano e si mescolavano le une alle altre, mescolate a quel ridicolo umano formicolare, vespaio ansioso con sempre nuove invenzioni, assurdamente preoccupanti e presuntive, magari rullate, magari ossessivamente ripetute, orgogliose e gonfie, dunque vento vano o ricercata mestizia, od amor d’adolescenza sul balcone ferroso, fine pomeriggio, te sul panorama, occhio luna, pigro di me antichi sensi, udito da te d’amor sveglio nei sensi, occhio luna ossessiva, eccola la palma d’onore, ripercorsa poco a poco, di fianco al lago, l’improvviso lago che si apriva tra il verde e di giorno, che si doveva osservare ed aspirare come se fosse un plastico, steso sul tavolino di quello studio, liberi ma perennemente osservati, un poco scontrosi ma rassegnati, quel persistere del tempo stancante, colori e luci, e quel fruscio fuori dalla finestra.
Signore d’ogni aspettativa, magari abbandonato ma inconsapevole completamente della sua condizione di abbandono, con la sensazione di protagonismo e attivismo, lucido ma imbecille, esaltato, principe di una rincorsa drammatica malata e senza fine, destinata a condurre alla soluzione finale, al dramma, all’implosione o all’esplosione, come i fuochi d’artificio partenopei, piroette, girandole, tric e trac, luci, botti, rincorse nei vicoli con l’odore del gas acre, spintonato, illividito dalla consapevolezza di essere nell’errore ma lucido, imbecille, forse consapevole della propria condanna ma ostinato testardo e timoroso, irriverente nella propria religiosità, sacrale nel proprio ateismo, seduto davanti ad un piatto di fagioli, l’ultimo giorno del mese, guardando dalla finestra un brutto panorama di case in costruzione.
Nessuno sconto, pensava, ed intanto si aggrappava all’idea.